La scrittrice Giuseppina Torregrossa
18 Giu

“Il vino? È l’elemento sacro della buona tavola”

La scrittrice Giuseppina Torregrossa
La scrittrice Giuseppina Torregrossa

Si racconta come una della “generazione a km 0”, quando non c’era necessità di controllare l’origine e la provenienza dei prodotti che finivano sulla tavola perché era sempre la stessa: quella dell’orto o del caseificio più vicino. “Già da bambini conoscevamo la stagionalità di frutta e verdura, il cibo e la tavola erano espressione del territorio che abitavamo nella sua pienezza. Tutto ha cominciato a cambiare con gli anni ’80, quando si è smarrito il legame nei confronti del territorio con una brusca accelerata e la coscienza etica dello sviluppo si è inabissata dietro una inconsapevolezza corale”.

Quando parla di cibo parla della Sicilia Giuseppina Torregrossa, autrice di tanti romanzi (L’assaggiatrice, Il conto delle minne, Panza e prisenza, La miscela segreta di casa Olivares, tra tutti). Di quella che è stata e di quella che poteva essere. Ma il suo punto di vista non è nostalgico: l’orizzonte su cui si stagliano le sue osservazioni sono sempre ancorate al presente.

Oggi scegliere cosa mangiare ha una valenza politica, perché significa fare i conti con i metodi di produzione e di gestione del territorio. Mangiare una bistecca, ad esempio, è un atto politico, mentre prima era solo un’attestazione di benessere”.

Parlare di cucina come spesso fa nei suoi romanzi è anche un atto d’amore verso la donna e la sua capacità di accogliere chi ama con la preparazione di un buon piatto. Tra quelli più intensi nei ricordi della sua infanzia c’è la caponata: “Ricordo mia madre che stava ore a tagliuzzare le verdure, preparare le melanzane e friggerle. E poi, dopo aver mescolato tutto, era necessario il tempo dell’attesa perché i sapori si amalgamassero. In pieno agosto, fare la caponata è un atto d’eroismo, ma anche d’amore puro; ancora più significativo in un momento in cui l’educazione imponeva che i figli si baciassero solo mentre dormivano, per non viziarli troppo. Mettere a tavola un piatto così complesso era la dichiarazione di dedizione più evidente”.

L’altra grande passione sono i dolci, dove “la bontà si coniuga con l’eleganza. Lì c’è la bellezza fine a sé stessa, un lusso che solo le tavole dei più ricchi potevano permettersi. Il linguaggio seduttivo dei dolci è tra le note più piacevoli che ho spesso spalmato tra le pagine dei miei romanzi”. La buona tavola però può dirsi davvero tale se non è accompagnata dal vino. Il suo valore simbolico legato alla vita e alle tradizioni è spesso presente nelle storie che racconta, soprattutto ne “L’assaggiatrice”. “Il vino non è come la farina o lo zucchero, è vivo, cambia con il tempo, con il clima e con il lavoro che vi si dedica. Per questo ha a che fare più con la sacralità della vita che con un bisogno primario”.

La scrittrice, che il 23 giugno sarà ospite della Strada del Vino da cui riceverà il riconoscimento come ambasciatrice del Cerasuolo di Vittoria, ricorda il vino che c’era sulle tavole dei nonni, fatto in casa spesso un po’ “spuntuliddu-come diceva mia nonna-, ma almeno sappiamo cosa beviamo. Oggi l’Italia e la Sicilia producono grandi vini, molti dei quali anche con grande attenzione verso la salute e ne hanno fatto un simbolo”.

Qualche anticipazione dell’appuntamento del prossimo 23 giugno a Vittoria, moderato da Fabrizio Carrera, direttore di Cronachedigusto.it? ”Da tempo vagheggio l’idea di scrivere una trilogia dedicata alla terra e in particolare al vino, al grano e all’olio. Sono elementi magici che hanno connotato il nostro passato e che possono certamente farlo ancora nel futuro. Non so se mai questo sogno prenderà forma. Ma certamente tornare nella terra di un vino eccezionale come il cerasuolo mi regalerà tante suggestioni che rimescolerò con le mie parole”.